Quando mi chiedono perché ho scelto Siena come città in cui trascorrere i miei anni di vita universitaria, sento sempre una certa difficoltà nel rispondere.
‘L’hai scelta perché è una bella città?’ ‘L’hai scelta perché è una cittadina a misura d’uomo?’ ‘L’hai scelta perché la tua facoltà a Siena era a numero aperto?’ ‘L’hai scelta per caso?’
Ebbene, nessuna di queste domande retoriche hanno mai inquadrato una possibile mia risposta.
Siena la scelsi, ormai 7 anni fa, quale “ultima spiaggia”…
Avevo scelto come città universitaria la modernissima Milano e ho ancora nitido il ricordo di quando, dovendo salire a Milano dal mio piccolo paesino della Basilicata (regione che esiste, riprendendo Papaleo), feci sosta a Siena, perché qui studiava medicina mia sorella più grande.
In quell’occasione lei mi ripropose per l’ennesima volta di frequentare la facoltà di giurisprudenza a Siena, ne aveva sentito parlare bene, e la mia risposta fu ‘In questo villaggio può studiare una persona tranquilla come te, io sono fatta per una metropoli’.
La mia esperienza ‘metropolitana’ durò ben poco (tre mesi), ma Milano mi servì per capire che ero anch’io un’umana: per la prima volta capii che il mio sogno di fare carriera in una grande città era nulla in confronto alla mia voglia di poter esprimere i miei valori in una città più piccola in cui io non fossi solo una pedina frenetica sempre in corsa, ma una persona con tanta voglia di prendere tutte le mattine un caffè in un piccolo bar per scambiare due chiacchiere con altre persone, avendo il tempo di farmi fare non solo delle domande dall’interlocutore, ma anche di rispondere a queste, con la certezza che il mio amico del bar non fosse già andato via, già proiettato sulla metropolitana che di lì a pochi secondi avrebbe preso.
Così, decisi di prendermi del tempo per fare una scelta più oculata e, nel frattempo, per non perdere il primo anno di università, di trasferirmi a Siena per finire qui il primo anno di università e, poi, ritrasferirmi l’anno dopo in una città dove realmente volessi frequentare tutto il corso di studi.
Quanti anni sono passati e non parlo tanto a livello numerico, quanto piuttosto a livello di esperienze…
Entrata in città come ‘Pina’, ora la vivo come ‘Dott.ssa Gallotta’.
E dietro queste due diverse ‘denominazioni’ non c’è solo il passaggio del conseguimento di un titolo di laurea nella città del Palio, di quello te ne fai veramente poco se non è accompagnato da una serie di esperienze che ti formano così profondamente che senza di esse davvero non puoi dire di essere quella che sei.
Nella mia esperienza universitaria, Siena l’ho vissuta veramente poco, ma di questo me ne rendo conto solo ora.
Per me Siena erano i miei amici universitari (rigorosamente non di Siena e, ad oggi, non so dire con obiettività se per scelta dei senesi o per scelta di noi ‘stranieri’), i locali di Piazza del Campo frequentati rigorosamente tutti i venerdì e sabato sera e la domenica pomeriggio, i miei vicini di casa con cui non scambiavo più che un saluto e, poi, Siena rappresentava la tranquillità di vivere in una bella e rigogliosa città, di cui non avrei mai potuto neanche minimamente immaginare un possibile declino, neanche in uno solo dei settori che la componevano.
Ero felice che a Siena tutto era più ‘civile’ (oh, quasi mai sentito un clacson suonare se non in caso di ‘imminente pericolo’ – giù da me, questa cosa l’avevo vista sì, ma solo scritta sul libro da studiare per passare l’esame di teoria della patente- !), tutto apparentemente funzionava in un armonico disegno realizzato da altri e in cui io non ci avevo messo assolutamente nulla di mio: un bellissimo puzzle, insomma, dove ogni pezzo era messo al posto giusto e a me, quindi, non restava che ammirarlo.
Ho frequentato il mio corso di studi con una certa tranquillità e una certa serenità e, così, fino alla laurea, con una tesi in diritto tributario (che, forse, era la branca del diritto che trovava meno applicazione a Siena, giusto a dimostrazione di quanto avessi capito della città!).
A questo punto, il passaggio essenziale.
Molti dei tuoi amici ‘terroni’ (potrei chiamarli del Sud, ma li priverei di quel bellissimo richiamo che tale espressione racchiude: il legame con la terra), che da colleghi universitari sono diventati compagni di vita, sono tornati nella loro terra d’origine, altri sono andati a vivere in altre città; non c’è più l’appuntamento fisso nella città di Siena con le lezioni e gli esami e sei liberissimo di andare dove vuoi…
Sono rimasta ancora una volta qui e, ancora una volta, senza che ciò fosse in apparenza il frutto di una scelta (restare a Siena sì o restare a Siena no); mi sembrava di restare a Siena temporeggiando nell’attesa di una vera scelta.
Che tragedia per chi, come me, non è fatalista, ma individualista.
Solo dopo avrei capito che ogni non scelta è, in realtà, essa stessa una scelta.
Così mi ritrovavo di fronte ad una città fatta da persone che non potrei definire ‘ospitanti’ – si badi, diverso da ospitali- (da noi, lì in terra di Sud, l’ospite non paga un canone di locazione, non va a fare la spesa e non cucina perché è sempre a pranzo da qualcuno, non va alle riunioni di condominio etc…), ma che, comunque, mi ospitava essa stessa.
Mai nessuna pietra o muro di Siena si era mai rivoltato impedendomi di battere piede in questa città.
Eppure qualcosa mi mancava.
Capisci cosa è Siena solo se la guardi attraverso (e non ho detto con) gli occhi di un senese.
Ho iniziato a frequentare, senza quasi accorgermene, i senesi e ho capito quanto fossero legati alle loro tradizioni, alla loro terra, alle loro istituzioni.
‘Legati alle loro tradizioni, alla loro terra, alle loro istituzioni’, ma sono qualità che sto riferendo ai cari senesi o ai miei cari lucani? A entrambi, la natura umana è proprio simile al Sud, al centro e al Nord!
Così Siena è piano, piano diventata lo stupendo volto di mia nipote nata a Siena; il mio vicino con cui non scambio più educatamente solo il saluto, ma che mi dà la sua prima copia di una poesia scritta in senese, raccomandandomi di non rovinare l’umile fogliettino su cui l’ha scritta; il mio ‘Maestro’ di pratica che, dal primo giorno in cui ho iniziato a fare la pratica forense, tutti i giorni, immancabilmente, proprio come si fa da noi, mi ha offerto il caffè, zuccherato con consigli di vita e professionali; il barista che parla sempre di contrada; il solito benzinaio che ogni volta che mi lava i vetri mi dice che di lì a poco pioverà in città…
‘E le differenze’ – mi si potrebbe chiedere- ‘non le vedi più?’
Certo che le vedo, le vedo e le sento ogni volta che un cittadino senese non pronuncia la ‘c’, così come un senese vede e sente la differenza rispetto a me ogni volta che io, alla domanda ‘Com’è?’ , rispondo ‘Bene’ con tre ‘b’.
Non c’è più un meglio e un peggio, ma una differenza di fronte ad un’altra differenza.
Che si fa? Tre le strade prospettabili: tanto io, quanto il senese, continuiamo a camminare sulla stessa terra senese, ma indifferenti l’uno all’altro; io cerco di distruggere la senesità, il senese cerca di distruggere la mia lucanità (o il lucano, così come ogni altro non senese, si auto-distrugge, appiattendo la sua diversità, piangendo al Palio o aspirando la ‘c’ più dei senesi); o ognuno mantiene la sua diversità, facendone motivo di scambio.
Bene, io ho scelto quest’ultima strada e ho iniziato ad affezionarmi anch’io alla città, continuando, contemporaneamente, ad amare la mia cittadella di origine.
Ho iniziato a guardare Siena attraverso gli occhi dei senesi, ma con i miei occhi neri del Sud: che prospettiva spettacolare!
Paradossalmente, mi ripeto spesso in questi giorni, mi sono affezionata alla città proprio poco prima di questo tragico momento che sta vivendo; è stato un amore crudele, un amore nato per poi farmi dispiacere delle tristi vicende di cronaca senese.
Un altro pensiero è in me ricorrente ultimamente.
Se prima di questi tragici eventi avessi dovuto descrivere cosa fosse Siena, non ci sarei riuscita e, poi, come per il concetto di salute che non si riesce a definire fino a quando non sorge una malattia, ho capito che Siena era proprio quell’insieme di istituzioni che, poi, sono via via cadute una dopo l’altra.
L’importanza di una fondazione, l’importanza di un’università fino a poco tempo fa fiore all’occhiello degli atenei italiani, tutte cose che ho capito solo a posteriori purtroppo.
La tragedia, però, non deve lasciare inermi.
Siena, in questo momento, è un po’ come quelle madri che, quando diventano anziane, richiedono l’attenzione di cui necessitano i figli.
Io, non di Siena, la prenderò come figlia adottiva, insieme alla mia figlia naturale Basilicata.
Pina Gallotta