Nel settembre 2008 si presentò alla Banca MPS la possibilità di acquisire, dagli spagnoli del Banco Santander, la Banca Antonveneta.
L’operazione poteva risultare
strategicamente opportuna dal momento che l’Antonveneta disponeva di 1000 sportelli ubicati principalmente in una zona economicamente sviluppata del Paese (in cui era scarsa la presenza del’Istituto senese) ed il Monte dei Paschi stava inseguendo una crescita dimensionale che gli consentisse di rimanere fra i maggiori istituti bancari italiani.
Senonchè, da quanto si è potuto apprendere andando a rileggere le notizie di cronaca sull’operazione, non si può fare a meno di rilevare tre aspetti principali:
1) il prezzo pagato per l’acquisto di 9 e più miliardi di euro fu notevolmente superiore a quanto poco tempo prima (alla fine del 2005) il Banco Santander aveva pagato per l’acquisto dagli olandesi della Abn Amro (circa sei miliari di euro). Viene, pertanto, da chiedersi che cosa fosse successo nel frattempo per giustificare un tale incremento di valore;
2) l’impegno all’acquisto venne perfezionato senza prevedere alcuna preventiva verifica (la cosiddetta ‘due diligence’) sugli “assets” attivi e passivi contenuti nel patrimonio dell’Antonveneta quali, ad esempio, l’effettivo valore degli investimenti, l’adeguatezza degli ammortamenti con particolare riguardo alle sofferenze, la corretta classificazione delle categorie di rischio degli affidamenti, la qualità degli stessi in ordine alla solvibilità dei clienti con le maggiori esposizioni, l’efficienza e la produttività dell’organizzazione e così via;
3) l’insolita fretta con la quale vennero definite in modo vincolante le condizioni dell’acquisto, quando non si aveva notizia di nessun altro potenziale acquirente che potesse ‘soffiare’ l’operazione.
Su alcune operazioni relative all’acquisto di Antonveneta sta indagando la magistratura e c’è da augurarsi che venga fatta chiarezza fino in fondo per arrivare ad una ricostruzione oggettiva della vicenda che consenta di valutare adeguatamente l’operato dei protagonisti.
Per l’operazione di acquisto la Banca dovette reperire le risorse finanziarie con un’operazione di aumento del proprio capitale che venne offerto in opzione ai soci in proporzione alle loro precedenti partecipazioni.
Alla Fondazione MPS si presentò la scelta se sottoscrivere poco più della metà del deliberato aumento, mantenendo inalterata la percentuale della propria partecipazione al capitale della Banca o se lasciarla diluire scendendo a circa il 45%.
Venne scelta la prima soluzione ma, poiché la Fondazione non aveva i mezzi finanziari per esercitare l’opzione, si trovò costretta a vendere tutto quanto c’era da vendere nel proprio patrimonio e ad indebitarsi nei confronti di un pool internazionale di banche, dando in pegno le proprie azioni di Banca MPS, che a quell’epoca avevano un valore multiplo di quello attuale. Non poteva esser fatta scelta più inopportuna! Venne, infatti, contratto un debito dall’importo ovviamente immodificabile, dando in garanzia titoli azionari che avrebbero potuto deprezzarsi, anche drammaticamente.
Anche al più distratto degli osservatori delle vicende finanziarie non sarà sfuggito che poco tempo prima, in seguito all’attacco alle Torri gemelle di New York, i titoli azionari di tutto il mondo persero gran parte del loro valore. Un crollo anche peggiore si è avuto a seguito della crisi iniziata con i problemi dei muti sub-prime: in poche parole le azioni delle società quotate sono soggetti ad essere penalizzati, anche in modo pesante, anche per vicende extra aziendali ed indipendentemente dalla buona o cattiva gestione dell’azienda bancaria. Di conseguenza si sarebbe dovuto prudenzialmente non escludere l’ipotesi che una caduta del valore delle azioni MPS avrebbe sicuramente indotto il pool di banche a richiedere il rimborso totale o parziale del finanziamento, in assenza di ulteriori garanzie.
Questa grave imprevidenza da parte di soggetti che avrebbero dovuto avere una buona conoscenza delle vicende finanziarie o, perlomeno, la possibilità di ricorrere a valide consulenze, ha prodotto una situazione tale da costringere la Fondazione a svendere tutto ciò che era monetizzabile ed una cospicua parte del proprio pacchetto azionario.
Se in occasione dell’aumento di capitale la Fondazione non avesse esercitato per intero il diritto di opzione, lasciando diluire la propria partecipazione (con i valori dell’epoca poteva essere sufficiente ridurla al 45%), avrebbe potuto evitare di indebitarsi, pur mantenendo sempre il controllo della Banca.
In questi ultimi tempi si sono lette sulla stampa precise indicazioni sugli errori commessi nella conduzione dell’azienda bancaria, ma ancora nessuno ha approfondito il perché delle spregiudicate scelte della Fondazione, anche se non è mancato il tentativo di addossare (non senza motivo) l’intera responsabilità della vicenda al presidente di quest’ultima, sollecitandone finanche le dimissioni. L’interessato ha più volte ribadito di non ritenersi l’unico responsabile della vicenda, circostanza che richiederebbe l’indicazione da parte sua dei soggetti che hanno contribuito alla decisione anche al fine di arrivare ad un auspicabile confronto per evidenziare precise responsabilità politiche e tecniche.
Alcune delle considerazioni sopra esposte sono già emerse nei dibattiti pre elettorali di questi giorni, ma appare necessaria un’operazione di ‘verità’ che metta in chiaro le responsabilità, in modo corretto ma con decisione, affinché, dissipate le nebbie, si possano creare le premesse per superare un declino evidente della città in campo finanziario, economico e culturale.
Movimento Civico Senese